mercoledì 29 agosto 2007
Per favore non ammazzate la gallina...
Per favore, non uccidete questa gallina. Non e’, e non vuole essere, il solito appello animalista che compare per le festivita’, vedi a Pasqua per gli agnelli. Del resto ognuno “mangia” secondo coscienza. E’ il tentativo di difesa di una tradizione che da decenni e’ cara ai ragusani. Oggi e’ San Giovanni, e a Ragusa e’ festa. Ci si trovera’, all’ora di pranzo, tutti attorno al desco per assaporare “u’ cinu”, ovvero la gallina ripiena. In verita’ nel corso degli anni la gallina ha ceduto il passo anche al gallo, come conferma un macellaio ragusano che spiega “come anticamente si prendeva la gallina da fare ripiena, ma adesso la gente chiede anche il pollo”. Ma il punto non e’ questo. Perche’ “u’ cinu” non era altro che il frutto del paziente lavoro di nonne e mamme che si mettevano li’, a casa, a selezionare ogni ben di Dio da inserire, con sapienza ed esperienza, all’interno della gallina da cucinare e da portare calda in tavola. Quasi un’opera artigianale, con tanto di ago e filo per chiudere il ripieno. Una vera e propria opera d’arte culinaria. Da leccarsi i baffi. Le massaie si trovavano insieme e con cura selezionavano le frattaglie, da far tritate, passate in padella con olio e aglio, aromatizzate con pepe nero e sale. La tradizione impone le uova intere, il formaggio grattuggiato, il pane abbrustolito, il tritato di prezzemolo. Questi gli ingredienti di una ricetta rimasta immutata da decenni. In verita’, quel che mi stranisce, sono quei volantini che promuovono offerte speciali su “u’ cinu”, da comprare al supermercato per poco piu’ di 3 euro al chilogrammo. Il prezzo, per carita’, sara’ pure buono. Ma mi chiedo se sia davvero necessario comprare “u’ cinu” al market o in macelleria. Ho infatti paura che si massifichi questa tradizione. La gallina ripiena non e’ solo una pietanza da consumare come fosse un panino del Mc Donald, ma e’ un “rito” della festa di San Giovanni. Pur comprendendo che nella societa’ attuale il tempo manca, mi piace pensare che oggi mamme e nonne andranno a comprare, al market o in macelleria, le galline ancora da svuotare e da riempire a casa, salvando, con un po’ piu’ di pazienza, la tradizione e riconsegnando un po’ del calore di quel focolare domestico che sparisce sempre piu’.
domenica 10 giugno 2007
Lucchetti d'amore virtuali e il romanticismo perso
Forse non e’ mai stato facile dirlo e forse non lo sara’ mai. Pronunciare quel “Ti amo” fa ancora oggi arrossire sia chi lo dice, che, guardandosi dritti negli occhi, chi lo ascolta. E’ la misteriosa poesia dell’amore, della passione, di due persone innamorate che manifestano timidamente i propri sentimenti. Un amore oggi non piu’ gridato ma, seguendo le ultime mode, simbolicamente chiuso in un lucchetto di ferro, appeso ai pali della luce o alle inferriate. Dopo aver scritto sopra le proprie iniziali, ne viene gettata la chiave per rendere eterno quel giuramento d’amore. Una mania, diffusa in tutta Italia, iniziata su uno dei pali del ponte Milvio a Roma, da parte di due innamorati che hanno voluto riprodurre quanto scritto nel romanzo “Ho voglia di te”. Un gesto romantico, duplicato migliaia e migliaia di volte. Anche nella nostra provincia, sul ponte vecchio a Ragusa o lungo la panoramica dell’Itria a Modica. Quasi un rito che, inevitabilmente, ne ha fatto in parte perdere il significato intrinseco, trasformando l’amore chiuso in un lucchetto, in una tendenza da seguire. Perfino su internet. In appena quattro settimane sono stati ben 10.000 i lucchetti d’amore virtuali “appesi” sul sito web www.lucchettipontemilvio.com. Il lucchetto numero diecimila e' stato creato da una ragazza di Vittoria, Maria, che al suo Roberto ha scritto un semplice ma intenso messaggio: “Ti amo e ti amero' per sempre, sei l'unico per me e voglio stare per sempre con te”. E cosi’ quel gesto carico di un ritrovato romanticismo e’ divenuto un freddo digitare sulla tastiera del computer, probabilmente senza nemmeno che lo sappia il partner. Un amore (forse) reale, testimoniato virtualmente, senza alcun lucchetto al palo, senza la chiave gettata per sempre, e soprattutto senza essere in due. Ma anche sul web, amore non si lega con la parola matrimonio, usata solo in una quarantina di lucchetti, pari allo 0,3%. Terribilmente reale.
domenica 25 febbraio 2007
Il calcio torna alla normalità? No, abbiamo solo, già, dimenticato
Leggo, sui giornali e sul web, che il calcio lentamente torna alla normalità dopo i fatti di Catania che hanno causato la morte di Filippo Raciti. Leggo, in questa fredda domenica, che si sono consumati ancora altri atti di violenza negli stadi di calcio di questa nostra Italia. E mi pongo inevitabilmente una domanda. Ma e' questa la normalità verso cui il calcio ritorna? Picchiare un giocatore, lanciare sassi contro un arbitro. Questa e' la normalità? E di quali tifosi? E soprattutto di quale calcio? Personalmente non trovo il calcio interessante (mondiali esclusi). La domenica, piuttosto che stare allo stadio a tifare, sto a casa a dormire. Ma forse il calcio non mi piace proprio per la violenza e i comportamenti eccessivi dei tifosi. Fin da piccolo ho visto con diffidenza questi momenti di comune esaltazione. Perche' poi, preso uno ad uno, il tifoso medio e' assolutamente una brava persona. Ma e' il gruppo che permette di far parte del branco. Puoi fare quello che vuoi, tanto non sei il solo. Avendo rifiutato categoricamente la logica del gruppo/branco, ho sempre visto il calcio come un'inutile momento non di sport ma di esaltazione a volte illogica. Alcuni tifosi, non tutti per fortuna, sarebbero disposti anche ad uccidere pur di non subire il coro della tifoseria avversaria. E' questa la normalità del calcio a cui "lentamente torniamo"? Peccato, l'Italia, una volta tanto, aveva avuto l'occasione di mostrare i muscoli e di adottare misure forti contro chi sgarra. Ma l'Italia e sempre l'Italia. E devo dare ragione a coloro che dicevano "quanto vuoi che duri?". Poco. Troppo poco per dimenticare la morte senza senso di un poliziotto che stava solo facendo il suo dovere. Troppo poco per dimenticare la barbara uccisione, sette giorni prima, di un dirigente di una piccola squadra calabra. Troppo poco per dimenticare tutti gli altri episodi di violenza gratuita e di esagerazione. Eppure non e' passato nemmeno un mese e l'Italia ha dimenticato. Ecco perche' continuo a non farmi piacere il calcio. Una piccola sentita protesta.
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